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Quando il bene ereditario in comunione può essere usucapito dal coerede?

Quando il bene ereditario in comunione può essere usucapito dal coerede?

  • 08 Feb 2019

Commento a Cassazione Civile, ord. 16 gennaio 2019, n. 966.

Nel nostro ordinamento, con l’apertura della successione, in seguito all’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati ed in mancanza di diversa previsione per testamento, si forma la cosiddetta comunione ereditaria fra tutti gli eredi, ovvero il complessivo patrimonio del defunto diviene proprietà di questi ultimi per quote ideali, senza che possa ritenersi alcuno di essi proprietario esclusivo di singoli beni di quel patrimonio.

Affinché quest’ultimo risultato venga raggiunto e, cioè, al fine di poter assegnare in proprietà singoli beni facenti parte del patrimonio ereditario a ognuno dei coeredi, bisognerà sciogliere la comunione, il che potrà avvenire amichevolmente (mediante un accordo fra gli eredi che sfoci in un contratto) oppure giudizialmente (rivolgendosi all’autorità giudiziaria allo scopo di ottenere il relativo provvedimento, in mancanza di accordo tra le parti).

Tanto premesso in via generale, può anche accadere che il coerede divenga proprietario esclusivo di un bene in comunione ereditaria mediante usucapione  (si tratta di un modo di acquisto della proprietà a titolo originario che si realizza in virtù del possesso del bene continuato per il tempo stabilito dalla legge), anche prima ed a prescindere dalla divisione.

Tale ultima ipotesi è stata specifico oggetto della pronuncia della Cassazione in commento, che ha chiarito quali siano i requisiti necessari per poter usucapire un bene in comunione ereditaria da parte di un coerede, anche prima della divisione.

I giudici di legittimità, seguendo un orientamento già espresso in alcuni precedenti, confermano che il coerede, rimasto nel possesso del bene ereditario dopo la morte del de cuius, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, ma a tale scopo, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività. Ciò avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere a titolo di proprietà esclusiva e non più come comproprietà.

A tal fine, però, sottolineano i giudici della Cassazione, non è sufficiente che il coerede abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che gli altri eredi si siano astenuti da analoghe attività, perché in questa ipotesi sussiste una presunzione relativa che egli abbia agito nella qualità ed operato anche nell’interesse degli altri.

Bisognerà, perciò, che il coerede provi di aver posseduto come proprietario esclusivo il bene, così come sarà anche necessario dimostrare le conseguenti condotte che denotino in maniera chiara e incontrovertibile l’intento di possedere con modalità incompatibili con il compossesso degli altri eredi. La semplice astensione dall’uso del bene comune, da parte degli altri partecipanti alla comunione ereditaria, magari per mera tolleranza, non comporta necessariamente la prova del possesso esclusivo, ma bisogna, altresì, dimostrare che il rapporto materiale con il bene preclude agli altri coeredi di possedere anche loro.

In conclusione, se da un lato viene confermata dai giudici la possibilità di usucapire un bene in comunione ereditaria, come d’altronde espressamente previsto dall’art. 714 c.c., dall’altro lato vengono stabiliti requisiti abbastanza rigidi a carico del coerede che intenda valersene, ciò a tutela dei restanti coeredi, anche in considerazione della possibilità che questi ultimi, come spesso accade, non si siano totalmente disinteressati o siano rimasti inerti, ma abbiano consentito tale situazione per mera tolleranza, senza, tuttavia, precludersi la possibilità di esercitare il loro compossesso sul bene.

Avv. Francesco Gianfreda

Francesco Gianfreda
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