Marito uccide la moglie gravemente malata di Alzheimer: niente riconoscimento dell’attenuante dei “motivi di particolare valore morale”
La Corte di Cassazione, sez. Penale, è chiamata ad esprimersi in un giudizio nel quale un uomo di 90 anni era stato ritenuto colpevole del reato di omicidio volontario per aver ucciso a colpi di pistola la moglie, gravemente malata di Alzheimer e ricoverata da tempo in ospedale.
L’uomo propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Assise d’Appello di Firenze poiché non gli era stata concessa una riduzione della pena, in virtù del riconoscimento dell’esistenza della circostanza attenuante dell’aver agito per motivi di particolare valore morale, prevista dall’art. 62, n.1, del codice penale.
Difatti, il ricorrente ha sempre affermato di aver ucciso la moglie per amore della stessa e per porre fine alle sue sofferenze, dovute alla grave ed irreversibile malattia che l’aveva colpita.
Il motivo di particolare valore morale è quello che, secondo la coscienza etica umana, è meritevole di particolare approvazione (come, ad es., l’amore per il prossimo).
Per poter applicare l’attenuante appena menzionata è necessario, però, che i motivi di particolare valore morale godano dell’incondizionata approvazione della società.
La Cassazione, analizzando il caso in esame, evidenzia, innanzitutto, che ci sono sicuramente gli elementi altruistici nella condotta del marito, poiché egli si era sempre preso cura della moglie e non aveva mai nascosto, ma anzi confessato, il grave gesto compiuto, giustificandolo con l’intento di porre fine alle sofferenze della stessa, per l’amore che provava nei suoi confronti.
Però, i giudici di legittimità riscontrano pure delle esigenze personali nella condotta dell’uomo, ovvero il fatto che il ricovero in ospedale avesse sottratto la moglie alle esclusive cure da parte del marito, nonché la circostanza che la sofferenza della moglie provocasse, di riflesso, sofferenza morale anche nel consorte.
In ogni caso, come sopra espresso, i comportamenti di particolare valore morale devono essere considerati espressione di un diffuso e comune sentire nella società, mentre, uccidere la propria moglie non è, attualmente, riconosciuto un gesto espressione di particolare valore morale, oltre al fatto che è ancora molto dibattuta, nel nostro contesto sociale, la questione della liceità o meno dell’eutanasia.
Prosegue la Cassazione nel suo ragionamento affermando che la compassione, evocata dal ricorrente a giustificazione del suo gesto, viene applicata oggi ai soli animali di compagnia, attraverso la pratica di determinarne farmacologicamente la morte nelle ipotesi di malattie incurabili, ma non all’uomo, per il quale prevale l’inderogabile principio del rispetto della vita umana.
In conclusione, ogni condotta di soppressione della vita umana, pur se mossa da compassione verso la stessa vita umana alla quale si pone fine, non può essere ritenuta di particolare valore morale.
E così, il ricorso del povero e profondamente innamorato marito è stato rigettato, con sentenza n. 50378/18, aggiungendosi ulteriori argomentazioni in merito al delicato e dibattuto tema dell’eutanasia.
Avv. Francesco Gianfreda